StoriaLa Scuola
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Lo Stile Shotokan è uno stile di karate, sviluppato a partire da varie arti marziali dal Maestro Gichin Funakoshi (1868-1957) e da suo figlio, il Maestro Yoshitaka Funakoshi (1906-1945). Il Maestro Gichin Funakoshi è universalmente riconosciuto per aver esportato e diffuso il karate dall’isola di Okinawa all’intero Giappone, anche se alcuni importanti maestri, come Kenwa Mabuni e Chōki Motobu, vi insegnavano già il karate da tempo prima. Lo Shotokan è dunque uno degli stili tradizionali del karate, oltre a Goju-ryu, Shito-ryu, Shorin-ryu e Wado-ryu. Nonostante abbia avuto origine come un’unica scuola di karate, sviluppatasi all’interno della Japan Karate Association, al giorno d’oggi esistono parecchie organizzazioni indipendenti.
Shoto significa “fruscio nella pineta” (o più precisamente “onda di pino”) ed era lo pseudonimo che il Maestro Funakoshi utilizzava per firmare le sue poesie ed i suoi scritti. La parola giapponese kansignifica invece “casa” o “abitazione“, ed è riferita al dojo. In onore del loro Maestro, gli allievi di Funakoshi crearono un cartello con la scritta Shoto-kan che posero sopra l’ingresso del dojo in cui egli insegnava. In realtà il Maestro Funakoshi non diede mai un nome al suo stile, chiamandolo semplicemente “karate “. La pratica dello Shotokan è in genere divisa in tre parti: kihon (i fondamentali), kata (forme o sequenze di movimenti, ovvero un combattimento immaginario contro uno o più avversari) e kumite (combattimento). Le tecniche eseguite nel kihon e nei kata sono caratterizzate, in alcuni casi, da posizioni lunghe e profonde, che consentono stabilità, permettono movimenti forti e rinforzano le gambe. Le tecniche del kumite rispecchiano queste posizioni e movimenti al livello base, ma con maggior esperienza diventano più flessibili e fluide. Il Maestro Gichin Funakoshi espose i Venti Principi del Karate (o Niju kun), che costituirono le basi della disciplina prima che i suoi studenti fondassero la JKA. In questi principi, fortemente basati sul bushido e sullo zen, è contenuta la filosofia dello stile Shotokan. Essi contengono nozioni di umiltà, rispetto, compassione, pazienza e calma sia interiore che esteriore. Il Maestro Funakoshi riteneva che attraverso la pratica del karate e l’osservazione di questi principi, il karateka era in grado di migliorarsi. Molte scuole Shotokan recitano tuttora il Dojo Kun alla fine di ogni allenamento, per trovare e aumentare sia la motivazione che lo spirito. Lo stesso Maestro Funakoshi scrisse: “Lo scopo ultimo del karate non si trova nella vittoria o nella sconfitta, ma nella perfezione del carattere dei partecipanti“. Niju kun
Dojo kun
nasce nella seconda metà del 2004 dall’incontro di due gruppi di karate shotokan in occasione del “1°Trofeo della solidarietà” organizzato da ASP Ad Maiora e Zona Rischio. Il gruppo di amici del Dojo “Kiu Shin Riu” guidato dal M° Faraglia Valter e il gruppo del Dojo “Palestra Popolare Casalbertone” guidato dal M° Catalani Augusto. Insieme si è da subito seguito il percorso tecnico con il settore Karate dell’Area Discipline Orientali della UISP. L’intento ancora oggi è di crescere e far crescere insieme i nostri doji con tutta l’umiltà di chi ha voglia di seguire la via del Karate. Ricordiamo con affetto la vecchia palestra popolare di via D. De Dominicis, dove molti amici hanno sudato insieme a noi sul parquet del dojo. Dal 2003 la gestione è stata affidata alla ASPd Ad Maiora, ed il settore Karate è stato seguito dall’istruttore Augusto Catalani, che ha creato un suo gruppo ancora oggi attivo. In questi anni il gruppo ha seguito tutte le attività dell’ADO, sia quelle locali che nazionali, le attività di formazione ed aggiornamento. Nel settembre 2008 il dojo si trasferisce nella nuova sede di via Pietralatella sempre nel quartiere di Casalbertone . Abbiamo inaugurato il nuovo dojo con una manifestazione insieme agli amici del dojo “Kiu Shin Riu”, il “Dojo 166” della Polisportiva Casalbruciato e chiaramente noi. Lunedì e Mercoledì dalle ore 18,00 alle 19,30
Lunedì e Mercoledì dalle ore 17,00 alle 18,00
Il termina Kata (giapponese 型 o 形, traducibile con forma o modello) indica, sotto il profilo tecnico, una serie di movimenti preordinati e codificati che rappresentano varie tecniche e tattiche di combattimento, evidenziandone i principi e le opportunità di esecuzione. I Kata sono una componente essenziale non solo del Karate e delle arti marziali in generale (Judo, Kendo, Aikido ecc.) ma anche in molte altre discipline orientali, incluse anche lo sho-dō (l’arte calligrafica) , il ka-dō (composizione floreale) e il sa-dō (cerimonia del tè). Ogni kata è composto da una serie di movimenti, codificati e non modificabili, che ne costituiscono la caratteristica evidente, ma presenta altri elementi che sfuggono alla comprensione più immediata: i maestri che li hanno creati hanno spesso volutamente mascherato il significato di alcuni passaggi per evitare che altri se ne impadronissero. Tuttavia spesso questa forma rituale e per molti solo estetica risulta estranea, e non se ne coglie nè il valore didattico nè il ignificato più profondo. Per i praticanti rappresenta l’essenza dell’arte marziale perché racchiude in sé sia lo studio delle tecniche fondamentali (Kihon) che il ritmo e la tattica del combattimento (Kumite): è perciò basilare per progredire nella ricerca della Via (Dō). E, dal punto di vista strettamente tecnico, si può ben dire che studiare i Kata è studiare il Karate nella sua completezza, in questo senso, si può affermare con certezza che non soltanto nei Kata risiede tutto il Karate, ma che le caratteristiche di ogni singolo stile possono essere comprese appieno soltanto dallo studio dei Kata propri dello stile medesimo. Tutte le tecniche devono essere sostenute dal corretto uso della respirazione e della contrazione addominale (Kime) che, in particolari momenti esplodono nel kiai. Dimenticare il kiai o eseguirlo fuori tempo è indice di emotività, ed è un errore. I kata si sviluppano su di un tracciato determinato (embusen); se spostamenti e cambi di direzione vengono eseguiti correttamente, il punto di arrivo del kata corrisponde a quello di partenza. Lo stile Shotokan studia e codifica una trentina di Kata. Quindici di questi, considerati la base dello stile, derivano dalle modifiche apportate dal Maestro Yasutsune “Anko” Itosu, allievo del leggendario Sokon “Busho” Matsumura e a sua volta maestro di Gichin Funakoshi; si tratta, pertanto, di Kata rielaborati nei quali sono certamente visibili le connessioni con i Kata originari dello Shuri – Te, ma che tuttavia risultano profondamente diversi da questi ultimi, rappresentandone delle “stilizzazioni” di abbellimento successive e funzionali all’addestramento degli allievi. Kata di base
Kata Superiori
Il termine giapponese kumite viene tradotto con la parola combattimento, però tale termine è incompleto, cioè privo degli elementi compresi nel concetto di kumite. Kumite si compone della parola kumi, che significa “mettere insieme”, e della sillaba te, che significa “mano”. Per kumite si intende quindi l’incontrarsi con le mani: nel confronto reale come in quello di palestra è necessario un avversario. Lo scopo del vero combattimento è quello di abbattere l’avversario, quello del kumite è la crescita reciproca dei praticanti. Il kumite presuppone due fasi ben distinte: l’apprendimento delle tecniche dal punto di vista formale e la loro applicazione. L’importanza che riveste la forma (kata) in funzione del combattimento è quindi fondamentale, perché racchiude le basi del karate. La filosofia del karate-do impone di migliorarsi continuamente per ricercare la massima padronanza tecnica e mentale, così da raggiungere equilibrio interiore, stabilità, consapevolezza. Per allenare il combattimento, nel senso del karate-do, vengono studiati alcuni tipi di kumite fondamentale: combattimento a cinque passi, a tre passi, a un passo, semilibero e libero. Gohon kumite e Sanbon kumiteIl combattimento a cinque passi Gohon kumite e il combattimento a tre passi, Sanbon kumite sono le prime forme di combattimento cui viene avvicinato l’atleta. Esse hanno lo scopo di fare assimilare l’aspetto pratico e formale delle tecniche, di perfezionare calci, pugni e parate che vanno poi collegati agli spostamenti propri e a quelli dell’avversario. Distanza, (maai), e precisione sono gli aspetti che maggiormente vanno evidenziati ed appresi in tale fase. “Maai” nelle arti marziali giapponesi è la distanza da mantenere nei confronti dell’avversario, esprime non solo la distanza e l’intervallo nello spazio, ma anche nel tempo. Esprime un ritmo, ad esempio l’intervallo tra le colonne di un tempio, un movimento di avvicinamento ed allontanamento; è la corretta distanza, ma variabile, ai fini dell’attacco o della difesa. Non va misurata, ma sentita con l’intuizione e l’atteggiamento mentale, con la percezione istintiva della spazialità delle tecniche, un errore di maai nel combattimento causa l’immediato attacco da parte dell’avversario e quindi la perdita dell’incontro. Kihon ippon kumiteIl combattimento a un solo passo Kihon ippon kumite è la forma più essenziale di combattimento. I due atleti, posti ad una distanza corrispondente all’estensione del loro braccio, prestabiliscono l’area verso la quale indirizzeranno l’attacco: viso, tronco o bacino. Quindi alternativamente e senza finte, attaccano e parano. La relativa facilità strategica e coordinativa del combattimento a un solo passo ha lo scopo di fare emergere la massima intezione durante l’attacco e di annullare il tempo intercorrente tra la parata ed il contrattacco. Jiyu ippon kumiteIl combattimento semilibero Jiyu ippon kumite è lo stadio preliminare al combattimento libero. I contendenti si pongono in guardia a distanza libera (normalmente però viene stabilita a tre metri), l’attaccante dichiara l’area su cui porterà la tecnica, il difensore esegue una parate libera e contrattacca. Questo tipo di allenamento è finalizzato allo studio dell’applicazione reale delle tecniche. Chi attacca deve sapere sfruttare qualsiasi apertura gli si offra, utilizzando finte e spostamenti liberi, ed entrambi i praticanti devono acquisire abilità nella respirazione e nella distanza. Jiyu kumiteIl combattimento libero Jiyu kumite è il combattimento in cui sfociano i precedenti. In esso nulla è prestabilito, i due atleti si affrontano, esprimendo le proprie capacità tecniche e psicologiche. Elemento fondamentale rimane, però, il controllo, cioè la capacità di portare la tecnica con potenza e precisione a pochi millimetri dal bersaglio. Per poter praticare il combattimento libero questi elementi dovranno essere già stati interiorizzati perché su di essi si imperniano le scelte strategiche: parata e contrattacco (go no sen), attacco al momento della partenza dell’avversario (tai no sen), attacco sul primo movimento dell’avversario (sen no sen) e, infine, il “prima del prima” (sen sen no sen), cioè la tecnica di anticipo con intuizione. Ad Okinawa, anticamente, il karate veniva allenato attraverso esercizi individuali. Lo studio del combattimento fondamentale si sviluppò dopo l’introduzione del karate in Giappone negli anni venti. Il combattimento libero apparve ufficialmente nel 1936, durante una manifestazione organizzata per la fondazione della Federazione Studentesca Giapponese di karate-do. Il regolamento delle gare, e i punti assegnati per la qualità delle tecniche – wazaari, tecnica buona e ippon tecnica eccezionale – prevede l’irrogazione di diverse penalità a seconda della gravità delle scorrettezze commesse.Recentemente il sistema di punteggio è variato, il nuovo regolamento assegna ora punti in base alla parte del corpo colpita e la tecnica: Sanbon 3 punti: tecniche di calci al viso o spazzate; nihon 2 punti:calci al tronco, pugni alla schiena o combinati e tecniche eseguite dopo un’azione di squilibrio; ippon 1 punto:pugni o percussioni |